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Quando il pensiero cessa di assegnare significati e inaugurare visioni del mondo rimangono indecisi e aperti i suoi sensi (in tutte le accezioni di questo termine). Pensieri e corpi non sottostanno più ad alcun principio e si librano in questo rilascio senza causa, provenienza e finalità. Pensare (in un senso estremamente ampio e, in fondo, imprevisto e imprevedibile) diventa così la prassi stessa dell'essere, il fremito che attraversa ogni cosa nel suo affermarsi come presenza del mondo. Certo, non come aggiunta o "di più" , non c'è infatti finito senza pensiero e, d'altra parte, il pensiero o è pensiero finito o non è. Tutto questo comporta delle contiguità, dei piani e dei rapporti aperti sulla loro stessa mancanza di fondamento. E non solo per quanto riguarda i pensieri e i corpi, ma anche lo stesso presentarsi delle cose, il loro esserci in comune, e ancora (o lo stesso visto da un altro punto di vista): l'anima, e cioè il sentire e il sentirsi del corpo, la relazione e il mondo. Perché l'esercizio del pensiero è l'esperienza dell'esorbitare da se stesso di tutto ciò che è.